Climatologia — 01 Novembre 2014

Scienziati e funzionari si incontreranno in Danimarca per redigere quello che è stato definito il più importante documento sul cambiamento climatico. Il Synthesis report dell’IPCC uscirà domenica e sarà una summa di cause, impatti e possibili soluzioni al problema dell’innalzamento delle temperature. Sarà la pietra miliare di un nuovo accordo mondiale sul clima, anche se dovrà fare i conti con le diverse – ma spesso uniformemente scarse – intenzioni politiche.

Negli scorsi 13 mesi, l’IPCC ha già rilasciato tre rapporti, sulla scienza fisica, gli impatti e i metodi possibili da valutare nella lotta al climate change. Il lavoro dovrà riassumere in sé tutti i più importanti nodi evidenziati dai precedenti. Ma non sarà un mero copia e incolla, assicurano gli esperti: porterà nel dibattito qualcosa di nuovo.

«Sarà un documento a sé, il più importante per la politica nei prossimi anni – commenta il professor Arthur Petersen, ricercatore e membro del team olandese inviato a Copenhagen – E sarà il documento per il summit di Parigi 2015».

Il rapporto giocherà un ruolo chiave durante l’incontro delle Nazioni Unite nella capitale francese: probabilmente l’Organizzazione si baserà su di esso per scrivere un nuovo trattato mondiale sul clima.

«Sarà l’ultima parola che la scienza avrà in questo processo – spiega Alden Meyer, della Union of Concerned Scientists, che andrà a Copenhagen come osservatore – Ecco perché è fondamentale fare un buon lavoro e farne capire la rilevanza ai legislatori».

Un po’ di sospetto circonda la presenza di delegazioni governative al meeting. I funzionari sono stati inviati per lavorare a fianco degli scienziati nella formulazione del rapporto, ed è molto facile pensare che tenteranno di influenzarli, facendo convergere le conclusioni del rapporto con le intenzioni della politica di prendere più sotto gamba il cambiamento climatico.

Il presidente dell’IPCC, Rajendra Pachauri, ha dovuto ricordare ai delegati che non si stava lavorando per conto della politica. Il punto è che governi come quello degli Stati Uniti o quello indiano sono molto preoccupati per la possibilità che il concetto di carbon budget rientri anche nel rapporto di sintesi. Esso si basa su una semplice assunzione: dagli studi passati, ripresi dall’IPCC, sappiamo che per avere almeno un 66% di possibilità di evitare l’aumento delle temperature oltre i 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, non più di mille miliardi di tonnellate di carbonio vanno sparse in atmosfera entro la fine del secolo. Ma nel 2011 eravamo già a quota 531 miliardi, quindi oltre la metà di questo budget. Se dovesse diventare un limite universalmente valido, darebbe parecchio fastidio ai governi, anche perché una ricerca del 2009 ha rilevato che i combustibili fossili economicamente estraibili sono in grado di provocare altri 763 miliardi di tonnellate di CO2. Senza contare quelli estraibili con qualche sforzo in più (fracking?).

Oltre al carbonio, tuttavia, esistono altri climalteranti. Un fatto che abbassa il tetto del carbon budget a 800 miliardi di tonnellate: ce ne restano, allora, soltanto 269 miliardi. Per restare entro la soglia, le emissioni devono raggiungere il picco nel 2020, dopodiché cominciare a scendere.

Ma mettere un limite al carbone non piace a nessuna delle grandi potenze inquinanti, e meno che mai a i Paesi in via di sviluppo. La via verso un accordo globale sembra già in salita.
Clima-ultimo-avviso-arriva-il-Synthesis-report-dell’IPCC

Fonte: Rinnovabili.it

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