Editoriali — 12 Novembre 2014

​Opere contro le alluvioni che non si fanno, come a Genova, si fanno male, come a Carrara, e altre che invece si fanno e salvano davvero dalle alluvioni, come in Trentino. Pubbliche e private. E fanno risparmiare tanti soldi. L’ultima prova ieri quando l’Adige è salito in un giorno di quattro metri, con una portata di 1.380 metri cubi al secondo contro gli appena 150 di due giorni prima. Poteva essere un disastro ma il sistema di 27 idrovore del Consorzio trentino di bonifica (Ctb) ha evitato un disastro. «La piana si sarebbe trasformata in un lago con tantissimi danni, almeno due milioni di euro», spiega l’ingegner Claudio Geat, direttore del Ctb.

Un calcolo ancora approssimativo ma che si collega a quanto accaduto tre mesi fa quando, il 16 agosto, con una portata inferiore, stavano per finire sott’acqua 200 ettari di culture pregiate nella zona tra Caldaro e Trento, con un danno certo allora calcolato di due milioni di euro. Ma l’intervento per meno di una giornata dell’idrovora di Grumo ha evitato la grave alluvione. Un impianto costruito nel 2000 e costato sei milioni, soldi spesi bene che si sono ripagati in poco tempo. Basterebbero tre alluvioni evitate, ma sono state di più, già due quest’anno.

Il Consorzio oltre alle 27 grandi idrovore gestisce 170 chilometri di canali, su circa 10mila ettari di territorio che si sviluppano nel fondovalle lungo il corso dell’Adige e dove vive il 40% della popolazione della provincia. Una doppia mission: miglioramento fondiario e protezione civile. Un lavoro preziosissimo, sottolinea il presidente del Ctb Luigi Stefani «per salvaguardare non solo i terreni agricoli ma anche altre attività e le abitazioni».

Anche per questo territorio, aggiunge, «il “peccato originale” è stato l’eccessivo uso del territorio con vaste aree del fondovalle urbanizzate e quindi impermeabilizzate». E questo fa arrivare più velocemente l’acqua nell’Adige che originariamente scorreva zigzagando e che nell’800 venne profondamente modificato, rettificando il suo corso, bonificando le zone paludose ma anche aumentando portata e velocità. Una situazione a rischio che nel 1966, l’anno dell’alluvione di Firenze, fa finire anche Trento sotto l’acqua, col fiume che si riprendeva il suo antico alveo. Allora gli argini furono alzati di un metro e soprattutto venne rafforzato il sistema di idrovore e canali. Solo negli ultimi 20 anni, grazie ai finanziamenti della Provincia, sono stati investiti 33 milioni e altri 6 fino al 2018.

Certo, ammette l’ingegnere, «la sicurezza assoluta non esiste, c’è solo la riduzione del rischio», ma cui funziona. L’ultima alluvione risale così al 2000 quando finirono parzialmente sott’acqua due quartieri di Trento, per i “rigurgiti” dai canali ormai “tombinati” che passano sotto la città. Anche qui l’eccessiva urbanizzazione. Ma si è corsi ai ripari con due nuove idrovore e anche con l’obbligo per ogni abitazione di Trento e di altri comuni a predisporre una vasca di laminazione dove accumulare la pioggia e l’acqua di scorrimento (da usare poi per irrigare). Così si ha diritto a uno sconto di 3-4 volte dei contributi al Consorzio che è finanziato al 50% dai cittadini e al 50% dalla Provincia, per un bilancio annuo di 1,8 milioni. Soldi spesi bene. Come quelli per la recente mappatura dei canali della città (qui le chiamano “fosse”) e una prima fase di pulizia dal fango presente. Il tutto costato per ora appena 100mila euro.

 

 

Fonte Avvenire.it

http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/trento-maltempo-prevenzione-possibile-mira.aspx

 

 

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