Paganella — 22 Dicembre 2014

Emerge fumoso dalla notte dei tempi quel lontano 17 gennaio del 1940, quando il grande termometro murale a mercurio di via Gorkij toccò i -42,2°C. Sbiadite dal gelo le cupole d’oro del Cremlino assunsero i contorni di un film in bianco e nero e la città piombò in una atmosfera irreale.

Erano i tempi della “grande guerra” quando l’inverno russo, quello vero, infuriava impietosamente su quella che politicamente era nota come U.R.S.S. Ora sulle carte geografiche non è cambiata solo la denominazione ma anche la distribuzione delle temperature durante lo scorrere della stagione fredda. Mosca in particolare sta diventando una città occidentale a tutti gli effetti, anche climaticamente.

I più temerari, o meglio quelli che non potevano fare a meno di andare a lavorare, camminavano per le strade come robot tagliando il gelo con i baveri dei loro grandi cappotti. Una polvere cristallina si posava silenziosa su di loro, mentre il respiro si condensava sulle barbe degli uomini e si accumulava velocemente con stalattiti trasparenti.

Anche negli inverni del 1978 e del 1979 Mosca fu investita da un’ondata di gelo davvero crudo. La mancata manutenzione delle tubazioni esterne del gas provocò il black out nei riscaldamenti che nella capitale russa hanno una rete centralizzata a quartiere. Furono numerosi i palazzi che rimasero al gelo e la gente esasperata scese in strada riscaldandosi con grandi falò. Chi non disponeva di automobili e doveva servirsi dei mezzi pubblici raccontava di aver trascorso interminabili minuti alle fermate con la sensazione di rimanere pietrificato.

Chi invece poteva contare sul mezzo privato doveva mettere in atto precise strategie, pena l’inutilizzabilità del mezzo. La scuola siberiana aveva insegnato ai Moscoviti come comportarsi. Lassù nel grande gelo della steppa le macchine vengono messe in moto alla fine dell’autunno e si spengono solo in primavera. Chi voleva invece risparmiare metteva in moto il mezzo alla sera per poterlo poi utilizzare alla mattina, sempre che qualcuno non se lo fosse portato via nel frattempo durante la notte.

Correva il mese di ottobre dell’ormai lontano 1986 quando i contadini russi si cimentarono in una mirabileprevisione a lunga scadenza. “Troppe bacche e troppo premature” sentenziarono con la saggezza di chi la Natura la conosce davvero. Era segno che gli uccelli avrebbero fatto abbondanti scorte in anticipo, che tutto avrebbe presto gelato. E cosi fu. Il 9 gennaio del 1987 Mosca strinse ancora una volta i denti e raggiunse i -39°C. Il gelo fu ancora di casa sulle rive del Volga ma un luogo comune va sicuramente sfatato: i Russi del giorno d’oggi non rimpiangeranno mai il grande freddo.

Luca Angelini

 

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