Editoriali — 25 Maggio 2015

Se il giocatore ha un compare all’altezza non c’è verso, guai a farsi abbindolare al mercatino rionale da chi pratica il gioco delle tre carte. La soluzione sarà sempre sfuggente, nella fattispecie insieme a quello che avrete puntato e ai due compari.

Ecco, nel cercare di capire perché il riscaldamento globale si è preso le ferie – leggi la temperatura globale non sale più dall’inizio del secolo almeno – stiamo assistendo a qualcosa di molto simile.

Apprendiamo dal Guardian, che rilancia un articolo di Climate Central, che su Nature Geoscience è uscito un altro paper, l’ennesimo, in cui si dichiara di aver capito dov’è finito il riscaldamento che non c’è, ergo, anche di doversi attendere le sue nefaste conseguenze come da previsioni. In contumacia.

Pacific origin of the abrupt increase in Indian Ocean heat content during the warming hiatus

Qualcuno ricorderà che la prima spiegazione di cui si è avuta notizia per l’assenza di aumento delle temperature medie globali, consisteva in un non meglio specificato immagazzinamento del calore nelle profondità oceaniche. Direttamente dall’aria a lì sotto, tra l’altro senza passare nello strato intermedio, la superficie. Qui, per chi volesse, la lista delle 52 spiegazioni sin qui collezionate. Però, però, il magazzino oceanico più grande che abbiamo, incidentalmente anche forse il più importante ai fini climatici, è l’Oceano Pacifico. Il caso vuole che la misura del contenuto di calore degli oceani, divenuta affidabile da poco più di un decennio con il dispiegamento delle Boe del sistema Argo, dimostri che nel Pacifico il contenuto di calore è ultimamente diminuito, non aumentato.

Sicché, prendendo a prestito un’altra spiegazione, ossia una anomala intensificazione degli alisei proprio sulle acque del Pacifico, gli autori di questa nuova ricerca ipotizzano che il calore, invece di essere finito nell’Oceano Pacifico, si è spostato nell’Oceano Indiano, compiendo evidentemente un altro salto. Per quel pezzo di mare, molto più piccolo magari, ma sempre di un oceano stiamo parlando, il contenuto di calore è effettivamente aumentato, anche in modo considerevole. Quindi, fatti due conti, pare che questo aumento ‘spieghi’ circa il 70% del non aumento delle temperature medie globali, ovvero appunto il 70% del calore che non c’è.

Che l’accumulo di acqua più calda sul settore ovest del Pacifico e di lì verso l’Oceano Indiano attraverso l’Indonesia sia arrivato in ragione di più frequenti condizioni di La Niña o neutralità sul Pacifico equatoriale negli ultimi anni (cioè con alisei più sostenuti, per esempio) e che questo non abbia niente a che fare con il global warming è un pensiero che pare non sfiorare chi ha condotto la ricerca. Oppure sì, perché in effetti si cita proprio La Niña per motivare il raffreddamento delle acque del Pacifico Orientale e il riscaldamento di quelle sul versante occidentale, Indonesia compresa. Ma allora, se il meccanismo è questo, ed è qualcosa che appartiene ai cicli dell’ENSO (La Niña, Neutro, El Niño), che diavolo c’entra l’AGW?

C’entra, c’entra…perché le carte diventano molte più di tre. Ce lo spiega la prima firma di questo paper nella chiusura dell’articolo uscito su Climate Central:

“Se questa bolla di acqua calda nell’Oceano Indiano sarà trasportata fino al Nord Atlantico potrebbe avere impatto sullo scioglimento dei ghiaccio marino, e potrebbe anche far aumentare l’attività degli uragani e influenzare gli effetti della siccità negli USA. Queste sono semplici ipotesi che devono essere testate e studiate in futuro.”

Se, se, se…carta vince carta perde

Articolo di Guido Guidi

Fonte notizia: www.climamonitor.itOceani

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