C’è da chiedersi come mai i luoghi abbandonati siano contesti di fascino e attrazione. Luoghi che vanno cercati, scovati e poi tenuti un po’ segreti, ovvero conservati nel loro incantesimo. Sono case, hotel, sanatori, scuole, palazzi, paesi interi. Luoghi che oltre all’abbandono hanno subìto la dimenticanza. Sono fermi nel tempo. Susan Sontag diceva che “la fotografia ha la funzione di placare l’angoscia”, già, e come mai quindi questi luoghi deteriorati diventano oggetto di seduzione per fotografi? Le crepe dei muri e la loro storia stimola nello spettatore-fotografo una sorta di eccitamento inspiegabile. La logica classica dell’estetico è violata, per essere sostituita da qualcosa di più profondo. E’ il poter vedere ciò che accade dopo la fine e, con la fotografia che cattura e “immortala”, prenderne parte e controllo.
Camminare lungo i corridoi bui di un palazzo in decadenza sollecita un incontro con le proprie parti più perturbanti, eppure, con in mano la propria Canon, ogni passo diventa percorribile poiché mediati da un oggetto avente “funzioni magiche e protettive” (pare funzioni anche con Nikon e altre, ma va verificato). Fondamentalmente ciò che si cerca in questi percorsi a ritroso è il legame con il passato, con ciò che non esiste più, con la memoria e il superamento della perdita. Gli oggetti più emozionanti di questo luogo sono proprio quelli che esprimono la presenza dell’umano, l’essere stati abitati, toccati e utilizzati. Forbici, banchi, materassi, madonnine sui comodini…tutto ciò che sta a rappresentare la semplice quotidianità. Andare in quei luoghi è forse come andare in mondi esclusivi, motivo per cui non devono essere troppo “pubblicizzati”. Come se assistere a quegli spettacoli spettrali, fosse un privilegio di pochi. O forse un modo per pensare che le immagini catturate possano offrire davvero un superamento dell’angoscia di fronte all’abbandono, rendendo “vivo” ció che non lo è più.
Fote: Vanillamagazine.it Foto di Roberta Resega.