Slider Terremoti — 01 Novembre 2016

Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dopo il sisma di domenica: “Ci aspettiamo un abbassamento del suolo superiore ai 70 centimetri”. Alessandro Amato spiega a ilfattoquotidiano cosa è accaduto negli ultimi 70 giorni

Altre diciotto scosse oltre la magnitudo 4 nelle ventiquattr’ore successive a quella principale. E un possibile abbassamento del suolo “fino a 70 centimetri”, come annuncia l’Ingv all’Ansa, ed è visibile osservando due scatti del monte Vettore apparsi sul sito geologi.it poche ore dopo il sisma. Terremoto e conseguenza di un evento che, dice Alessandro Amato, sismologo dell’Ingv, “ci ha sorpreso”. Una prima analisi dei dati da parte dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, tuttavia, lascia ben sperare perché non si tratterebbe del ‘risveglio’ di nuova faglia ma del distacco di un pezzo di quella già attivatasi a fine agosto. Uno scenario confortante sotto il profilo scientifico ma che non esclude la possibilità che esista ancora energia da liberare nel breve periodo. Tutta colpa dell’allontanamento della costa tirrenica da quella adriatica, fenomeno lento ma costante all’origine dei 70 giorni che hanno messo in ginocchio le terre al confine tra Lazio, Marche e Umbria.

Alessandro Amato, cosa sta succedendo lungo l’Appennino?
Bisogna partire da una causa remota. È in atto un processo geologico che dura da diverse centinaia di migliaia di anni: lo stiramento della crosta terrestre. L’Appennino si sta allargando, dall’Adriatico al Tirreno. Lo vediamo dal gps. Le due parti si allontanano a una velocità media di circa 5 millimetri ogni anno. Questo è il motore, gli effetti sono stati i terremoti degli ultimi due mesi, probabilmente legati alla rotazione della microplacca adriatica che spinge contro le Alpi e la parte meridionale di questa che ruota in senso antiorario. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, questa è la più accreditata.

Cosa è accaduto negli ultimi due mesi?
Il processo di deformazione è continuo. Facciamo un esempio: cinque millimetri all’anno comportano nell’arco di due secoli una deformazione di un metro. Le faglie, che sono un sistema ramificato e complesso tra la Calabria e la Pianura Padana, resistono a questo ‘stiramento’ perché hanno un loro attrito. Quando però l’allargamento ‘batte’ la resistenza, queste si spostano in pochi secondi dello spazio che non avevano coperto nei due secoli precedenti. Dalla lunghezza del pezzo di faglia che si sposta dipende la magnitudo del terremoto. Ad agosto e negli scorsi giorni parliamo di una faglia di circa 20 chilometri. In Irpinia nel 1980 e ad Avezzano all’inizio del ‘900 si mosse una faglia di circa 40 km generando terremoti di magnitudo 7.

Perché al confine tra Lazio, Umbria e Marche si sono avuti quattro sismi così forti in così poco tempo?
Il primo terremoto di magnitudo 6 ha provocato uno spostamento nell’ordine di al massimo un metro nella direzione sud-sud est e nord-nord ovest. Il sistema è stato seguito da tanti aftershock (sismi più piccoli nei giorni successivi, nda). Il movimento di questa faglia ha perturbato i pezzi di faglia attorno. È come se lo spostamento del 24 agosto avesse stuzzicato la faglia più vicina. Questa quindi si è probabilmente mossa prima di quanto avrebbe fatto.

Parliamo dei due sismi dello scorso mercoledì?
Sì, i due terremoti di magnitudo 5.4 e 5.9 possono essere spiegati così. Perché siano passati due mesi è un’incognita: queste attivazioni successive di faglia – e ne conosciamo tante, storicamente – hanno tempi variabili. Passiamo da minuti a giorni fino a mesi, come nel caso appenninico. Tutti immaginavamo a quel punto che l’energia accumulata dalla ‘causa remota’ di cui parlavamo all’inizio fosse stata scaricata completamente.

La terrà è però tornata a tremare il 30 ottobre, con una scossa più forte di tutte le altre. Perché?
Stiamo aspettando i dati dei satelliti, che saranno probabilmente decisivi perché ci permetteranno di vedere esattamente i movimenti orizzontali e verticali. Capiremo così dove inizia e dove finisce la rottura della faglia verificatasi domenica mattina. Certo è che siamo rimasti stupiti. Siamo già sicuri, infatti, che la rottura del 30 ottobre riprende in parte quella del 24 agosto – verificatasi tra Amatrice, Accumoli e Norcia – e quella di Norcia-Visso dei giorni precedenti. L’ultimo terremoto ha avuto origine in mezzo alle altre due e ha attivato una faglia di 20-25 km, quasi 30, che vanno da un po’ più a nord dell’epicentro fino a sud, verso Amatrice. Al momento la spiegazione più plausibile è che la parte di faglia che si è mossa il 24 agosto non fosse slittata completamente, continuando nelle scorse ore il suo smottamento. Il trattamento dei dati sismologici ci ha già permesso di capire che l’ultimo evento ha la stessa direzione delle altre faglie. E se non si tratta della stessa, parliamo comunque di una parallela.

Questo vuol dire che il movimento è concluso?
Non possiamo saperlo, perché non si può calcolare quanta energia è stata caricata durante il processo geologico di cui parlavamo all’inizio. Non conosciamo tutte le faglie che ci sono e quanta resistenza hanno agli sforzi né come interagiscono tra di loro. Le incognite da questo punto di vista sono ancora molte. Il fatto che il terremoto del 30 ottobre abbia ‘ricalcato’ parte delle due faglie già attive potrebbe non essere negativo. Se si fosse ‘svegliata’ un’altra faglia sarebbe stato più preoccupante. Questo non toglie che gli ultimi eventi possano aver provocato l’attivazione di un altro pezzo della stessa faglia o di una contigua.

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