Slider — 08 Maggio 2017

Negli ultimi decenni l’Artico si è riscaldato circa due volte più del normale, cosi come il resto dell’emisfero settentrionale. Questo veloce riscaldamento, che si concretizza nel cuore dell’estate boreale, sta determinando un ridimensionamento dei ghiacci marini legati alla banchisa che si fondono con una maggiore facilità non appena le temperature raggiungono o superano la soglia degli +0°C nell’area artica. Avvenimento sempre più frequente ultimamente. Negli ultimi anni l’estensione dei ghiacci marini lungo il mar Glaciale Artico si è ridotta di circa il 40 %, tanto che in molte aree il ghiaccio sparisce completamente durante l’intera stagione estiva per riformarsi tra l‘autunno e l‘inizio dell‘inverno. Nelle scorse estati l’apertura, seppur temporanea, del passaggio a nord-ovest, una rotta che va dall’oceano Atlantico al Pacifico attraverso l’arcipelago artico del Canada, ha anche favorito i commerci marittimi fra il nord-America, l’Europa e l’Asia. Recenti studi hanno dimostrato come la rapida riduzione dei ghiacci del Polo Nord, con una notevole diminuzione delle aree soggette al cosiddetto “effetto Albedo“, abbia delle pesanti ripercussioni sull’andamento meteo/climatico planetario, influenzando direttamente la circolazione generale atmosferica.

Una ricerca condotta dall’Università del Wisconsin suggerisce che il riscaldamento dell’Artico sta contribuendo a rendere le configurazioni bariche e gli schemi sinottici sempre più persistenti e duraturi nel tempo nelle medie latitudini, con intervalli che possono persistere per interi mesi. Questa persistenza può dare luogo a pesanti ondate di caldo, intense avvezioni fredde, siccità o situazioni meteorologiche estreme, come eventi alluvionali e prolungati periodi di maltempo, che possono rimanere “stabili” per più giorni, settimane o addirittura mesi interi.

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Rtavn78151-300x246Difatti il notevole riscaldamento dell’Artico in genere ha come prima ripercussione un notevole rallentamento delle “Westerlies” (o flusso Zonale), gli impetuosi venti dai quadranti occidentali che dominano lungo le medie latitudini dirigendo l’andamento meteo/climatico sui vari continenti. L’indebolimento delle correnti occidentale si avverte soprattutto alle quote medio-alte della troposfera, con un forte rallentamento del ramo principale del “getto polare”, che sovente si presenta fra i 30° e i 60° di latitudine nord e sud, ai confini fra la Cella di Hadley e di Ferrel. Perdendo buona parte della sua forma il “getto polare”, per una nota legge fisica, comincia ad ondularsi su sé stesso creando delle grandi onde su scala planetaria, meglio note come le “onde di Rossby”.image: http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2017/05/analyza-1-300×221.gif

analyzaLe “onde di Rossby”, lunghe da 1.000 a 10.000 km, si formano con una precisa successione di tempi e tendono a muoversi da ovest verso est, con una velocità di propagazione che è direttamente proporzionale alla loro lunghezza e alla velocità media di spostamento delle correnti nell’alta troposfera. Nel periodo primaverile ed estivo, quando inizia l’arretramento dei ghiacci marini della banchisa del Polo Nord e il vortice polare (caratterizzato da geopotenziali bassi alla quota di 500 hpa) comincia gradualmente ad indebolirsi e a restringersi su una determinata area del mar Glaciale Artico, le “onde di Rossby” tendono a rallentare la loro velocità di propagazione da ovest ad est, originando dei Pattern climatici abbastanza durevoli che potrebbero portare ad una maggiore probabilità di eventi meteorologici estremi che derivano da condizioni prolungate, come siccità, inondazioni, ondate di freddo o avvezioni d’aria calda con onde mobili di calore insistenti per intere settimane.

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La formazione delle famose "onde di Rossby"

La formazione delle famose “onde di Rossby”

Un po’ sull’esempio di quanto visto lo scorso inverno tra gli USA e il Canada meridionale che per diversi mesi sono rimasti in balia di una ampia ondulazione oraria (onda anticiclonica) in seno alla “corrente a getto” che ha alimentato numerose ondate di calore verso i territori contigui degli States, dove la parte iniziale dello scorso inverno è risultate particolarmente calda, con vari record di caldo abbattuti. Una situazione analoga si è registrata anche sull’Europa occidentale e sul nord Italia, che fra l’autunno e l’inverno hanno fatto i conti con una prolungata fase siccitosa (carenza di precipitazioni) che è stata indotta da una grande e persistente ondulazioni oraria (blocco anticiclonico) in seno al “getto polare” in uscita dagli Stati Uniti e dal Canada orientale.

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Credit: NASA/GSFC

Credit: NASA/GSFC

Questa grande ondulazione è rimasta permanente per intere settimane e ha alimentato un intenso “forcing” dinamico che ha portato alla costruzione dell’imponente anticiclone di blocco che per vari mesi ha tenuto sotto scacco l’Europa centro-occidentale, chiudendo la porta dell’umido flusso perturbato atlantico e costringendo le grandi e profonde circolazioni depressionarie oceaniche a muoversi a nord del Regno Unito verso la Norvegia e la penisola Scandinava (con uno storm track atlantico abbastanza elevato).

Per approfondire http://www.meteoweb.eu/2017/05/clima-dimostrato-legame-tra-lo-scioglimento-dei-ghiacci-artici-e-il-rallentamento-del-getto-polare/898707/#Z79dOXQOI5AKs9Hp.99

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Meteo Sincero

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