Meteo Didattica — 12 Settembre 2013

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Ogni volta che si prepara un’ondata di maltempo più intensa del normale, cresce nel nostro Paese l’incubo alluvione. Del resto la storia d’Italia è costellata di episodi alluvionali gravissimi.

L’elenco è lungo: nel ’58 fu la volta della Calabria, nel ’66 del Veneto e della Toscana; in quest’ultimo evento l’alveo dell’Arno che ha una portata media di meno di 100 metricubi al secondo, fu invaso da 7000 metricubi al secondo di acque rapide e fangose, che traboccarono e invasero Firenze. Nell’alluvione dell’ottobre 2000 la portata del Po ha raggiunto i 12.000 metricubi al secondo (quella media è di 1500 metricubi/s), superiore alla portata del ’94 che fu di 10-11 mila.

Anche nel 1951 la portata del Po arrivò a tale livello, gli argini del tratto pensile cedettero alla spinta dell’acqua e allagarono l’intero Polesine. Alluvione del settembre 2000 a Soverato, in Calabria, del novembre del 2002 in Lombardia, agosto 2003 nel Tarvisiano, ancora la Calabria con Vibo Valentia nel 2006, Piemonte maggio 2008 e poi Varazze, Cagliari, fino all’ultima dello Spezzino e della Lunigiana nell’ottobre 2011.

Senza dimenticare quelle rovinose del 1968, Asti e Biella; 1970, Genova; in entrambi i casi con decine di morti, oltre, ovviamente, a danni enormi. Perchè mai questo accade? Ci sono delle cause naturali che “predispongono” al fenomeno; tra queste c’é la natura dei terreni, tra i quali abbondano quelli poco permeabili come le argille, e i rilievi molto ripidi, in grandissima parte geologicamente giovani: entrambe queste cause favoriscono uno scorrimento superficiale e,quindi un veloce deflusso delle acque, che si concentrano rapidamente nelle zone a quote inferiori. In condizioni normali, lo scorrimento è regolare, ma, se si verificano condizioni di piovosità intensa ed eccezionale, la massa d’acqua supera la capacità di deflusso del corso d’acqua e straripa, provocando l’inondazione.

Alle cause ricordate, di carattere naturale, vanno aggiunte, però, anche cause legate alle attività dell’uomo. Il disboscamento non razionale, per esempio, influisce sul deflusso delle acque, favorendo lo scorrimento superficiale.

La trasformazione di una zona rurale in area urbanizzata, già discussa, è un altro esempio di influenza antropica. Sono molto rischiosi anche gli interventi parziali o non integrati sull’alveo, che cioè non tengano presente che un corso d’acqua è qualcosa di unitario e non si può pensare di modificarne un tratto, senza che questo comporti come conseguenza non voluta modifiche, anche vistose e negative, sul resto del suo percorso. Nel caso di alluvione, ad esempio, sono molto pericolosi i fiumi pensili chiusi da alti argini artificiali che se si rompono provocano l’alluvione di vaste aree.

Ugualmente dannose possono risultare, a lungo andare, strozzature dell’alveo, come arcate di ponti non opportunamente ubicate e dimensionate: in caso di forti piene, esse possono provocare l’abbandono e l’accumulo di materiale trasportato, che forma in quel punto una specie di sbarramento del corso d’acqua; il successivo, inevitabile sfondamento di tale diga naturale porta ad una rovinosa piena verso valle.

In conclusione, interventi sono possibili e sono senz’altro necessari, ma devono essere accuratamente studiati e coordinati: non ha senso bonificare un singolo corso d’acqua; se si vuole che gli interventi siano efficaci nel tempo e non risultino dei semplici palliativi, occorre affrontare la sistemazione di un ben più ampio territorio attorno ad esso, tenendo conto dei diversi fattori che interargiscono sull’evoluzione di tale territorio.

Leonardo-meteolive.it

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