L’Impero Bolloré – Socfin» costituito da un dedalo di imprese per sfruttare senza vincoli le foreste tropicali
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Greenpeace France ha pubblicato l’inchiesta “Menaces sur les forêts africaines” nella quale rivela che la nuova frontiera della deforestazione si trova ormai in Africa». Il documento rivela un’economia complessa, basata su un dedalo di filiali difficili da decifrare, ma è e una lunga catena che arriva fino in Francia, nelle sedi di Bolloré e Socfin.
E l’inchiesta di Greenpeace France prende di mira proprio Vincent Bolloré, «l’uomo d’affari che si sognava ecologista». In Franci Vincent Bolloré è notissimo e il dossier di Greenpeace spiega che «Le attività del suo gruppo sono varie: dal traspèorto alle infrastrutture portuali, passando per la logistica, recentemente la società si è anche diversificata nelle comunicazioni (Havas, Direct Matin…). Il gruppo Bolloré detiene anche delle partecipazioni importanti in Vivendi, le cui attività includono per esempio Universal Music Group o il Groupe Canal+. Alla testa di una delle più grandi fortune francesi, Vincent Bolloré si è fatto una reputazione di uomo d’affari “senza scrupoli”. Ma da qualche anno, tenta parallelamente di costruirsi un’immagine più positiva, in particolare affermando la sua volontà di “conciliare performance economica e impegni sociali societari e ambientali”: produzione di veicoli elettrici, riduzione dell’impronta ambientale del gruppo, adozione di protocolli e codici ambientali… Si sforza di coltivare legami con personalità coinvolte nel dibattito sull’ambiente, patrocinando per esempio la fondazione di Maud Fontenoy o comparendo al fianco della Fondation Nicolas Hulot pour la Nature et l’Homme. L’impresa Blue Solutions del gruppo Bolloré faceva anche parte dei partner ufficiali della COP21 a Parigi».
Ma secondo Greenpeace France, tutte queste attività e ambizioni «Contrastano fortemente con gli investimenti agricoli del gruppo Bolloré in Africa e nell’Asia del Sud-Est attraverso la Socfin, che rappresenta una minaccia reale per le foreste e il clima». Infatti, il gruppo Bolloré è uno dei due principali azionisti della Socfin, che coltiva palme da olio e alberi della gomma.
L’inchiesta di Greenpace France dimostra che queste attività rappresentano una grave minaccia per le foreste tropicali africane, indispensabili per l’equilibrio climatico del pianeta. «Nonostante la grande influenza che gli conferisce la sua partecipazione del 38,75% all’interno della Socfin e la sua esibita volontà di “innovare per anticipare le nuove esigenze ambientali” – dicono gli ambientalisti – è chiaro che Vincent Bolloré non ha fatto evolvere l’impresa verso pratiche protettrici dell’ambiente e socialmente responsabili, e questo malgrado i numerosi scandali di questi ultimi anni»
L’inchiesta passa poi a descrivere quello che viene definito “l’Impero Socfin”: «La storia tra Vincent Bolloré e la Socfin comincia nel 1997 quando, alleato all’uomo di affari belga Hubert Fabri, ha preso il comando della potente banca Rivaud. Questa banca è specializzata, tra gli altri lucrosi investimenti, nelle piantagioni tropicali situate nelle vecchie colonie belghe, francesi e britanniche. Il gruppo Bolloré decide allora di separarsi da diverse entità della banca ma conserva le società legate alle piantagioni tropicali, tra le quali la Socfin».
Il rapporto descrive un dedalo di società con di due investimenti chiave: «Oggi, Vincent Bolloré e Hubert Fabri (diventato presidente della Socfin) si dividono l’essenziale della società: il gruppo Bolloré ne detiene il 38,75 %, mentre Hubert Fabri, attraverso i suoi collegamenti visibili o nascosti con altri azionisti, ne possiede il 50,2 %, il resto è quotato alla Borsa del Lussemburgo, dove è domiciliata la società. Il gruppo Bolloré si trova fortemente impegnato nelle gestione della Socfin: I due più alti dirigenti del gruppo, lo stesso Vincent Bolloré e i suo numero 2, Cédric de Bailliencourt, siedono sia nel consiglio di amministrazione della la Socfin e in diverse delle sue filiali. Da parte sua, Hubert Fabri siede nel consiglio di amministrazione del gruppo Bolloré e di almeno 5 società controllate dallo stesso. Quindi, è un eufemismo dire che i due uomini si conoscono bene».
Una conoscenza che secondo Greenpeace France nasconf de un imbroglio finanziario: «Grazie a diverse complesse manovre finanziarie, la Socfin conta 16 società che sfruttano delle piantagioni, capitanate da 5 filiali, esse stesse riconducibili a due entità “continentali”, le quali sono completate da 12 filiali “operative” (diverse delle quali sono domiciliate in Lussemburgo e Svizzera). Avete detto complesso? La Socfin è composta quindi da 35 entità differenti che, attraverso il gioco delle partecipazioni incrociate, possono anche essere azioniste tra loro».
Greenpeace France è convinto che l’uomo nell’ombra di queste scatole cinesi sia Fabri: «Presidente della la Socfin, Hubert Fabri possiede attraverso le sue partecipazioni dirette o indirette il 50,2% delle quote della società. Questo stretto e discreto partner di affari di Vincent Bolloré, che siede nel consiglio di amministrazione del gruppo Bolloré, gode d’altronde di una reputazione controversa e il suo nome compare al centro di numerosi casi giudiziari. E’ stato accusato in Belgio, nell’ottobre 2013, di frode fiscale, riciclaggio, falso in scritture a falsi contabili in bilancio. E’ accusato di aver private di diversi milioni di euro il fisco belga grazie a diverse società di comodo e a delle manovre illegali attraverso diversi paradisi fiscali. Hubert Fabri ed altri dipendenti del gruppo Socfin sono stati accusati di aver artificiosamente domiciliato diverse società in Liechtenstein, mentre le decisioni venivano effettivamente prese a Bruxelles. Il processo è iniziato il 12 novembre 2015 davanti al Tribunal correctionnel de Bruxelles che alla fine ha dichiarato le accuse inammissibili nel febbraio 2016. Nel dicembre 2013, Hubert Fabri è stato anche accusato di corruzione per l’acquisizione di concessioni in Guinea. Questo atto è ancora in fase istruttoria».
Ad oggi, la Socfin gestisce più di 185.000 ettari di piantagioni di palma da olio e di Hevea (caucciù naturale) in Africa e nel sud-est asiatico. Nel 2014, con un giro di affari di 508,4 milioni di euro, la Socfin ha avuto un guadagno netto di 23,6 milioni di euro. «Una bella berla nell’impero Bolloré», chiosa Greenpeace France, mentre l’Africa è l’Eldorado della Socfin: «L’Africa rappresenta ancora solo una piccola percentuale della produzione di olio di pama a livello mondiale, ma attualmente si assiste une vera e propri corsa alle foreste africane. Gli investimenti si moltiplicano, attratti dalle condizioni climatiche favorevoli e soprattutto dai regolamenti poco stringenti o non applicati (soprattutto a causa della corruzione) e di un regime fiscale spesso molto incentivante».
Dopo anni di champagne condotte da Greenpeace e da altre associazioni ambientaliste, le principali multinazionali che producono olio di palma, così come i grandi grossisti e le imprese consumatrici di olio di palma, si sono impegnati ad attuare nel sud-est asiatico politiche produttive e di approvvigionamento a zero deforestazione. Per Greenpeace «La nuova frontiera dell’olio di palma si situa ormai in Africa» e le prime ad essere prese di mira sono le foreste del Bacino del Congo che coprono 200 milioni di ettari in Camerun, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana e Repubblica democratica del Congo. Greenpeace evidenzia che «Rappresentano un valore ecologico eccezionale, soprattutto grazie a una notevole biodiversità: più di 500 specie di mammiferi, 400 specie di rettili, migliaia di specie vegetali , così come centinaia di specie di uccelli sono state censite nelle foreste dell’Africa centrale. Le foreste tropicali del mondo concentrano da sole circa i 2/3 della biodiversità terrestre: un tesoro da conservare».
Le foreste sono molto di più che una riserva di legname o di un bene fondiario, «Sono essenziali per le comunità che dipendono da loro per nutrirsi e ripararsi – sottolinea l’indagine ambientalista . Sono anche un elemento chiave della regolazione del clima: costituiscono immensi pozzi di carbonio, in particolare le foreste tropicali come il Bacino del Congo. Quindi, danneggiate o distrutte, non possono più svolgere i loro numerosi ruoli ecologici, come l’assorbimento del carbonio, la regolazione dei cicli dell’acqua, la protezione contro l’erosione, la salvaguardia di migliaia di specie vegetali e animali o il mantenimento della sussistenza delle popolazioni locali».
Per questo Socfin è anche una minaccia climatica: «Se con circa 50.000 ettari di hevea e 80.000 ettari di palma da olio in Africa, le zone piantate gestite da Socfin sono significative, rappresentano in realtà solo una parte delle concessioni detenute dalla società – si legge nel rapporto – In effetti, secondo le cifre del 2014, le concessioni della Socfin in Africa coprirebbero più di 325.000 ettari, il che significa che attualmente sarebbero piantate appena il 40% delle sue concessioni. Le superfici piantate potrebbero quindi raddoppiare nei prossimi anni per rispondere ad una domanda di materie prime sempre più importante a livello mondiale. Ora, all’0interno di queste concessioni si trovano delle foreste tropicali che stoccano delle quantità di carbonio importanti (zone chiamate “High Carbon Stock” – HCS) che sarebbero scaricate nell’atmosfera in caso di conversione in piantagioni».
Il dossier fa alcuni esempi: Dal 2010 a Sao Tomé e Principe sono stati distrutti circa 1.800 ettari di foreste per convertirli in piantagioni di palma da olio; secondo le stime di Greenpeace, il carbonio stoccato in queste foreste del piccolo Paese insulare africano raggiungeva le 600.000 tonnellate equivalenti di CO2, cioè quanto emette in un anno una piccolo centrale a carbone.
Nella Repubblica democratica del Congo circa 20.000 ettari di foresta fitta, comprese zone di foresta vergine e area a “foresta mosaico”, sono minacciati dall’assenza di una politica zero deforestazione. L’abbattimento di queste foreste per far spazio a piantagioni produrrebbe circa 8,5 milioni di tonnellate equivalente di CO2.
Una tonnellata di carbonio equivale a 20 viaggi andata e ritorno Parigi/Londra o al consumo annuo del riscaldamento a gas in un trilocale a Parigi.
La Socfin è presente in due Paesi asiatici: Cambogia e Indonesia e in 8 Paesi africani: Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Liberia, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Sao Tomé e Principe e Sierra Leone. Nel 2014 la Socfin ha annunciato una produzione di 185.443 tonnellate di olio di palma grezzo e di 116.933 tonnellate di caucciù naturale nel continente africano. Ma, nonostante la una grande influenza nell’industria delle piantagioni, la Socfin non è molto conosciuta dall’opinione pubblica. Solo negli ultimi anni sono arrivate notizie di numerosi conflitti sociali sorti all’interno e nei dintorni delle sue concessioni. Alcune comunità locali di diversi Paesi che vivono vicino alle piantagioni si sono unite nell’ Alliane internationale des communautés riveraines des plantations Socfin Bolloré e i contadini a gli abitanti dei villaggi denunciano il non rispetto dei loro diritti fondiari tradizionali, la scarsa compensazione accordata, le dure condizioni di lavoro degli operai agricoli delle piantagioni e la minaccia alla sicurezza alimentare delle comunità locali.
Il 24 luglio 2015 i contadini cambogiani del popolo autoctono Bunong hanno denunciato il gruppo Bolloré davanti al Tribunal de grande instance di Nanterre (Francia) per le sue piantagioni di alberi della gomma in Cambogia. I contadini Bunong esigono una riparazione in natura e il versamento di indennizzi e di interessi per i danni provocati, ma soprattutto sperano di recuperare le loro terre ancestrali che il governo di Phnom Penh ha concesso a gruppo Bolloré.
L’inchiesta di Greenpeace France evidenzia «Una palese assenza di impegno ambientale» e conclude: «Benché le sue attività delle piantagioni siano ad alto rischio per le foreste tropicali, contrariamene alle più importanti imprese del settore, la Socfin non ha politiche miranti a prevenire la deforestazione nei suoi progetti. Alla fine la Socfin ha pubblicato nell’estate 2015 una Sustainability Policy, ma quest’ultima resta molto insufficiente e notevolmente inferiore agli attuali standard del settore, Se venisse applicata, questa politica non permetterebbe di proteggere una gran parte delle foreste tropicali coperte dalle concessioni della Socfin e, quindi, di spezzare il legame tra piantagioni industriali, deforestazione ed emissione massiccia di gas serra. Rifiutandosi di formulare una politica zero deforestazione mirante a proteggere l’insieme delle foreste e delle zone ricche di carbonio, la Socfin e il gruppo Bolloré si posizionano in direzione contraria alla dinamica di progresso avviatasi nel settore in questi ultimi anni e alla volontà di non contribuire più alla deforestazione e ai cambiamenti climatici».
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Fonte blueplanetheart