Una crisi legata al clima o qualcosa di simile la stiamo vivendo in Italia da alcuni mesi. Non piove quasi più.
Siamo dentro una crisi idrica, in quasi tutte le regioni, ma è soprattutto al Nord che l’allarme è diventato rosso. Secondo l’Anbi (Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue) la disponibilità d’acqua al settentrione è praticamente dimezzata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Le punte negative sono in Emilia Romagna, dove è stato richiesto lo stato di calamità naturale e dove si segnala una disponibilità di meno di 5 milioni di metri cubi (a maggio 2016 erano oltre 18 milioni).
Questo è solo un preallarme, perché l’Italia e il bacino del Mediterraneo sono considerati dagli scienziati del clima un “hotspot”, cioè tra le aree dove l’impatto dei cambiamenti climatici sarà maggiore e potenzialmente più disastroso.
Se ne è parlato nel corso di una conferenza stampa alla Camera con Antonio Navarra e Riccardo Valentini, scienziati dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), l’organismo scientifico dell’Onu, Maria Grazia Midulla (Wwf Italia), Pippo Onufrio (Greenpeace Italia), Edoardo Zanchini (Legambiente), insieme a Stella Bianchi, deputata Pd.
Nell’area del mediterraneo vivono oltre 500 milioni di persone in circa 30 Paesi tra Europa, Africa e Asia. Le conseguenze dei mutamenti climatici per il nostro Paese – è stato detto – possono essere pesanti e drammatiche.
Nell’area del Mediterraneo le temperature aumentano più di quanto avviene in media nel resto del mondo; il rischio è di una “maggiore salinità”, con risalita del “cuneo salino” nei fiumi dalla ridotta portata, e di un innalzamento del livello del mare dai 7 ai 12 centimetri dal 2021 al 2050 rispetto al periodo di riferimento 1961-1990.
Inoltre si è detto che si potrà verificare una marcata riduzione dei ghiacciai alpini e impatti sui bacini idrografici, un’esplosione dell’aridità e dei fenomeni di desertificazione, con la metà del territorio italiano a rischio di degrado e una maggiore frequenza di eventi estremi.
Insomma uno scenario molto oscuro anche per il nostro paese visto che oggi il rateo di crescita delle temperature in Italia è circa il doppio rispetto a quello globale.
È stato già raggiunto un aumento intorno a 1,3 gradi rispetto al periodo tra 1880 e 1920 con una sostanziale riduzione delle precipitazioni con punte come in questi ultimi mesi. L’aumento della temperatura media proiettata è particolarmente pronunciato nell’Europa meridionale e nel nord Africa durante la stagione estiva e sulle Alpi dove sia in inverno che in estate il riscaldamento potrebbe raggiungere i 2 gradi.
Le conseguenze: minori precipitazioni nella stagione estiva; tendenza all’aumento dell’ampiezza del ciclo stagionale con inverni anomali e estati con maggiori possibilità di avere ondate eccezionali di calore. Con l’aumento delle temperature si registrano maggiore salinità e innalzamento del livello del Mar Mediterraneo, con effetti anche sulla circolazione tra Mediterraneo e Atlantico.
All’innalzamento del livello del mare va poi aggiunto l’aumento dovuto ai fenomeni di subsidenza costiera e all’aumento del livello dell’oceano globale indotto dalla fusione dei grandi ghiacciai continentali quali quello Groenlandia e penisola antartica occidentale.
La temperatura in aumento superiore alla media nelle Alpi porta poi ad una marcata riduzione dei ghiacciai alpini, che si sono significativamente ritirati con bilanci di massa generalmente negativi e l’estinzione dei ghiacciai più piccoli. Si riducono le riserve di acqua, con impatti rilevanti sui bacini idrografici montani e sul bacino del Po, sul settore agricolo, idroelettrico e sugli usi potabili dell’acqua.
Ci sono poi l’aridità e fenomeni di desertificazione, legati ad aumento delle temperature e alla diminuzione delle precipitazioni.
Si temono anche possibili fenomeni di retroazione: un suolo più secco si riscalda più facilmente e si lascia penetrare più lentamente da piogge intense, questo limita la capacità di accumulo riducendo ulteriormente il contenuto idrico, che a sua volta limita lo sviluppo della vegetazione determinando condizioni favorevoli alla desertificazione con riduzione della biodiversità del sistema.
Si verificheranno poi pressioni aggiuntive sulle coste dovute all’aumento del livello del mare e all’incremento del fenomeno dell’intrusione delle falde acquifere costiere. Tutte le regioni hanno aree sensibili alla desertificazione, ma con gradi di intensità e con estensione delle aree interessate diverse: oltre la metà del territorio italiano è’ a rischio di degrado e le regioni con aree sensibili superiori alla media nazionale sono Basilicata, Marche, Molise, Sicilia, Sardegna, Puglia e Emilia Romagna.
Sul fronte degli eventi intensi si teme un aumento della frequenza. Riproducono le caratteristiche tipiche dei cicloni tropicali quali ad esempio la presenza di un occhio centrale relativamente calmo (Medicanes, Mediterranean hurricanes). In forte aumento anche frane e alluvioni.
A tutto ciò si aggiunge una perdita di biodiversità stimata al doppio di quanto previsto a livello europeo, dove arriva al 10%, dovuta anche all’insorgere di malattie e maggiore vulnerabilità agli agenti patogeni e ai parassiti che possono avere maggiore diffusione. Vi saranno alterazioni all’integrità degli ecosistemi marini con aumento delle temperature, acidificazione degli oceani, introduzione di specie aliene.
Nel Mediterraneo, per la sua modesta estensione e la caratteristica di essere un mare semi-chiuso, i cambiamenti indotti dal riscaldamento globale possono provocare risposte a livello biologico più rapide rispetto a quanto riscontrato in altri sistemi su scala globale.
Diversi effetti sulla salute. Si stimano in aumento il rischio di malattie trasmissibili clima-sensibili quali quelle trasmesse da insetti vettori (emergenti e riemergenti), tossinfezioni alimentari e malattie trasmesse con l’acqua; impatti dovuti anche a peggioramento della qualità dell’aria e delle acque; i cambiamenti climatici incidono su tutti i fattori della sicurezza alimentare.
Ci saranno anche impatti sulle città: i cambiamenti climatici sono amplificatori di criticità pregresse e quindi accrescono le difficoltà di drenaggio o i rischi idraulici o i danni da mancanza di verde urbano. Possibili anche gli impatti sulle infrastrutture.
Forse è il caso di smetterla di congratularsi a vicenda sul raggiungimento del modesto accordo di Parigi e passare all’azione con un grande programma di investimenti che punti ad interventi di adattamento a breve e a lungo termine, oltre che a serie e rapide misure di mitigazione delle emissioni di gas serra.