Andrew Newey è un fotografo britannico che da oltre dieci anni percorre le strade meno battute del globo, per rendere testimonianza, con le sue immagini, di luoghi e persone “fuori dal mondo”. Nel 2013, durante un avventuroso viaggio in Nepal, ha trascorso due settimane in un villaggio montuoso nella zona centrale del paese, insieme ad una tribù di etnia Gurung, che tradizionalmente raccoglie il miele da alveari abbarbicati sulle impervie pendici della montagna.
Considerata la difficoltà della raccolta, questa attività viene considerata come una vera e propria caccia, che richiede una cerimonia iniziale, per placare gli dei della montagna, ai quali viene sacrificata una pecora, insieme ad altri doni, come fiori, frutta e riso. La raccolta del miele viene effettuata due volte l’anno, con le stesse modalità e gli stessi strumenti utilizzati ormai da molti secoli.
Prima di arrampicasi, i cacciatori accendono dei fuochi, il cui fumo serve a far uscire le api dal nido. Poi, usano semplicemente una scala di corda intrecciata a mano, lunga fino a 60 metri, per arrivare all’altezza degli alveari, e dei pali di bambù affilati, per tagliare l’alveare pieno di miele, che scorre in una cesta posizionata sotto il nido, grazie ad un altro palo di bambù.
Il miele himalayano è molto prezioso, e viene usato anche per scopi medicinali, raggiungendo quotazioni molto elevate in Giappone, Corea e Cina.
Alcuni fattori mettono a rischio la sopravvivenza di questa antica tradizione: il governo concede la raccolta del miele a degli appaltatori, escludendo gli indigeni, proprio per il guadagno che ne può ricavare; le giovani generazioni dei Gurung sono poco propense a questo tipo di attività, per l’alto rischio e il reddito limitato che fornisce; l’impatto negativo di un certo tipo di turismo, che porta forse un benessere più immediato, ma che nel lungo periodo rischia di provocare un danno permanente all’intero eco-sistema locale.
Fonte Vanillamagazine