Per la rubrica: è TEMPO di… Musica..!! Oggi parliamo di uno degli album più marci della storia del Rock, il secondo straordinario lavoro di James Osterberg, Dave Alexander e dei fratelli Scott e Ron Asheton, originariamente chiamati The Psychedelic Stooges poi solamente The Stooges band originaria del Michigan, che dopo uno storico potente ma ancora acerbo album d’esordio prodotto da John Cale dei Velvet Underground, approdano, dopo un’intensa attività dal vivo a questo secondo disco.
Cosa significava Rock nel 1970? Significava Rock Prog, Rock duro, folk e Pop Barocco. Fun House è Punk, magari non nel suono più legato al rock blues con molte distorsioni ma sicuramente nell’energia. Sapete meglio di me che il punk esploderà nel 1977 con prodromi l’anno precedente. Qui siamo in anticipo di un settennato. Se non è un album pionieristico questo! Imbarcato il sassofonista dei Carnal Kitchen Steve Mackay ecco “Funhouse“ ( cioè la “Casa del divertimento”, la casa dove gli Stooges vivevano, provavano, si drogavano e sfogavano i loro istinti sessuali) qualcosa di mai ascoltato prima, un’energia primordiale, selvaggia; drumming ossessivo, basso bello pieno, chitarre distorte, un suono che può essere inteso come la traduzione del rumore delle fabbriche di Detroit e che esprime il male di vivere ed il nichilismo del front man più indemoniato della storia del Rock.
Registrato il più possibile in presa diretta questo lavoro folle e visionario inizia con “Down on the Street” e “Loose” riff graffianti, chitarra rumorosa, tagliente voce a metà fra Lou Reed e Jim Morrison ( vero idolo di Ashenton) quindi l’urlo ad introdurre “T.V Eye” (T.V. sta per Twarth View, sguardo depravato , tradotto ” Puntare alla F..a) voce languida e guaiti lussuriosi, animaleschi e la straordinaria ballata “Dirt” autodenuncia della condizione di derelitto del cantante sostenuta da un dialogo tra chitarre straniante che accompagna tutta la canzone.
Apre il lato B del mio vinile “1970” con un finale in cui il sax si inserisce aggredisce e stupisce in una sorta di vorticoso rito orgiastico, seguono gli oltre sette minuti della title track rumore e delirio e si arriva al satanistico finale di “L.A. Blues” urla, ruggiti, anarchia strumentale, caos armonico in cui è totalmente assente la forma canzone. Proto punk dicevo ma molto molto più estremo, difficile e coraggioso del genere di fine Anni Settanta.
A mio parere un capolavoro assoluto. Dimenticavo, per chi non lo conoscesse, il cantante James Newell Osterberg che con gli altri Stooges usava farsi di eroina all’interno della Fun House per poi schizzare il sangue rimasto nelle siringhe sulle pareti, inizia la sua carriera come batterista suonando anche nel gruppo degli Iguanas da cui prenderà il suo soprannome, ” Iggy”. Iggy Pop