Editoriali — 09 Giugno 2015

d3b3799d6611d677944f5f86a500beb3_LVediamo di affrontare il possibile iter di una situazione da prevenzione partendo dalle previsioni meteorologiche.

La previsione meteorologica oltre a servire per darci le informazioni sul tempo, serve ovviamente per metterci a conoscenza di eventuali situazioni atmosferiche avverse.

Il meccanismo che accompagna la previsione alla prevenzione dovrebbe essere in realtà semplice.

La previsione, se accompagnata da possibile forte attendibilità, mette in moto la prevenzione attraverso i meccanismi della nostra burocrazia, prefettura, protezione civile e quindi provincie e comuni.

Diciamo che è un meccanismo apparentemente efficiente ma se vogliamo che la previsione ci tuteli per una prevenzione efficace, deve essere veloce e deve raggiungere i cittadini nel minor tempo possibile.

Se per esempio una zona è soggetta a rischio idrogeologico, questa deve avere un piano di emergenza efficace e soprattutto veloce.

Abbiamo visto che l’attendibilità di una previsione su scala microclimatica deve essere compresa nelle 48 ore. Oltre i 2 giorni la previsione per una determinata località diventa statisticamente inaffidabile, ossia poco precisa e soggetta a sbagli anche vistosi, per cui è fondamentale che questa sia veloce perché non può essere lanciata con 3-4 giorni di preavviso, per esempio come succede negli USA con i sistemi tropicali.

La qualità della previsione e dei meteorologi determina la buona riuscita della prevenzione. Ma manca purtroppo un tassello importante, ossia il meccanismo che dalla previsione ci porta alla prevenzione e all’allerta alla popolazione.

Aprendo e chiudendo una parentesi non propriamente meteorologica, il passo dalla previsione allarmistica al cittadino deve essere la più veloce possibile e purtroppo il meccanismo non consente ciò perché al momento non vi è una struttura adatta per un problema del genere. Con l’avvento dei social network e istant messagging (facebook-twitter-whatsapp ecc..) forse ci avviciniamo a ciò ma per ora manca una cultura della prevenzione anche da parte nostra.

Cosa ci porta a distinguere una situazione a rischio da una non a rischio?

Ci vuole un’analisi dei modelli ad area limitata che verifichi le possibilità, quindi una situazione deve essere seguita emissione dopo emissione per stabilire il grado di prevedibilità dell’evento (sotto una mappa a rischio recente del modello Moloch ad area limitata preso dal sito dell’ARPAL con possibile evento estremo sul nordovest Italia).

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Se ad un’emissione delle ore 00 ne segue una allarmistica simile o uguale alle ore 06, 12 o 18, possiamo ritenere fondata o quantomeno più probabile la possibilità che il fenomeno avvenga nei modi e luoghi previsti. Una emissione discontinua invece certifica i dubbi sulla buona previsione.

Stabilire se una allerta è fondata è poi carico del meteorologo che deve stabilire, anche in base alla conoscenza del territorio, che una situazione è pericolosa. Non possiamo quindi determinare a priori da una emissione una sentenza di allerta. Possiamo verificarla nelle ore seguenti e poi determinarne il rischio attraverso le osservazioni in tempo reale attraverso satelliti, radar meteorologici e stazioni meteo.

Se parliamo di allerta per Neve e fenomeni non esplosivi , questa può essere diramata in maniera diffusa e per la neve possiamo ritenere che a volte anche 48 ore possono essere sufficienti per un’allerta valida.

Se invece parliamo del protagonista degli ultimi anni, ossia il sistema temporalesco autorigenerante, protagonista di quasi tutte le ultime alluvioni, allora la cosa si complica, perché il problema può manifestarsi in aree molto ristrette con accumuli notevoli in una località e irrisori per esempio a 20km di distanza.

Scritto da: Simone Zanardini

Fonte: www.bresciameteo.it

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