L’alluvione della versilia del 19 giugno 1996, per me appassionato di meteorologia, resta uno degli eventi meteo più significativi che io ricordi. Ieri ricorreva il suo 22esimo anniversario e, di certo, viste le concause ambientali di tragedie del genere, merita di essere ricordata anche come insegnamento sui modi di come fare prevenzione nel merito. Limitandosi al fatto meteorologico, giacché la questione dell’incuria ambientale sarebbe argomento troppo lungo, occorre dire che, il fenomeno, pur potendo essere considerato come uno dei tanti eventi temporaleschi da cluster con autorigenerazione sopravvento, si manifestò, nel caso specifico, con modalità eccezionale. In 8 ore, infatti, caddero, in una zona relativamente concentrata, 470 mm di pioggia, e fino a punte di 160 mm/h (un nubifragio è una pioggia di oltre 30 mm/h). In termini strettamente meteo si trattò di una debole ondulazione ciclonica su un flusso stazionario nord-ovest/sud-est, in un contesto generale di progressivo calo barico in quota, dopo un periodo di alta pressione con temperature oltre la norma. La pericolosità di certi fenomeni temporaleschi è legata, oltre alla rigenerazione (interazione outflow/inflow), anche alla loro possibile concentrazione, dovuta alla acquisizione della capacità delle correnti ascensionali di creare la multicella solo in una determinata zona, eventualmente sfondando strati di inversione o tappi, e di innescare, in un modo esplosivo, la dissipazione di una elevata quantità di energia accumulata. L’area temporalesca, se può usufruire di aria fredda in quota, di una corrente in quota capace di rendere lo sviluppo del temporale obliquo, di correnti al suolo cariche di umidità, e di un wind shear direzionale e di velocità positivo in grado di esaltare le correnti ascensionali, assume la dimensione di un concentrato di molta energia da dissipare in un contesto, data la continua alimentazione del cluster, di persistente rigenerazione sopravvento. Il cluster, di forma allungata e stirato nella direzione dei venti in quota, continua a generare nuovi sviluppi a monte, producendo un rovescio di ore ed ore sulle stesse zone. Nel caso specifico occorre anche considerare i favori dell’orografia, ovvero della catena montuosa in linea con la direzione di sviluppo e vicina alla costa, nonché approssimativamente perpendicolare rispetto a venti umidi marittimi da occidente forzati a salire lungo la catena montuosa (effetto stau)…
Pierangelo Perelli