Editoriali — 14 Settembre 2014

(Rinnovabili.it) – E’ il riscaldamento globale ad aver causato lo scioglimento della banchisa di Larsen, situata sulla costa orientale della Penisola Antartica. Lo studio, pubblicato oggi sulla rivista americana Science e presentato in Italia il prossimo 27 settembre, vanta la collaborazione degli scienziati italiani Michele Rebesco e Fabrizio Zgur, ricercatori presso l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste (OGS).

La lastra di ghiaccio, grande come la Valle d’Aosta, dal 2002 si sta sciogliendo e disgregando con una perdita stimata di un’area di circa 3250 km2. La scoperta oltre a confermare che sarebbe il cambiamento climatico a determinare il fenomeno di fusione evidenzia come le piattaforme, anche di grandi dimensioni, possono variare la in tempi brevi spinte soprattutto dal cambio di temperatura della superficie della banchisa piuttosto che dell’acqua. Sciogliendosi la superficie ghiacciata dà vita a gole e crepacci che favoriscono l’entrata di acqua direttamente dal mare e di conseguenza l’ulteriore scioglimento della lastra.

Comprendendo in che modo si modificano le piattaforme gli scienziati sono in grado di comprendere e prevedere le evoluzioni dell’ambiente e del clima del Pianeta. Infatti qualora le piattaforme dovessero fondersi completamente il livello globale degli oceani aumenterebbe di almeno 60 metri.

Analizzando la banchisa di Larsen la ricerca condotta a bordo della nave rompighiaccio di ricerca statunitense Nathaniel B. Palmer, risalente al 2005-2006, ha rilevato una situazione al di sotto del livello del mare e sui fondali pressocchè invariata dall’ultima era glaciale confermando che il rapido e recente scioglimento della superficie ghiacciata è dovuto all’aumento della temperatura esterna piuttosto che all’assottigliamento del ghiaccio dovuto all’acqua troppo calda.

“Sono stati fatti grossi sforzi internazionali per campionare, e anche perforare le linee di distacco in entrambi gli emisferi – ha spiegato Michele Rebesco, ricercatore dell’OGS – Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale coinvolto nel progetto – È importante capire il meccanismo, lo sviluppo e l’arco di tempo coinvolti in questo processo. Lo abbiamo rilevato anche nel corso di una recente crociera di esplorazione che abbiamo fatto nel 2013 nella parte nord occidentale del Mare di Barents“.
Fonte: focus.itAntartid

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