Il satellite europeo GOCE, acronimo di Gravity Field and Steady-State Ocean Circulation Explorer, sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per analizzare le variazioni del campo gravitazionale terrestre, è entrato in maniera incontrollata nell’atmosfera terrestre durante la scorsa notte, soccombendo alla stessa attrazione gravitazionale del pianeta, che ha mappato con una risoluzione senza precedenti nel corso degli ultimi quattro anni. Il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea è precipitato all’1:00 (ora italiana) di oggi, 11 Novembre, durante un percorso che l’avrebbe portato sopra la Siberia, l’Oceano Pacifico occidentale, l’Oceano indiano orientale e l’Antartide. Come previsto, gran parte del veicolo si è disintegrato nell’alta atmosfera, non facendo registrare alcun danno a persone e/o cose. La navicella spaziale, soprannominata la ferrari dei satelliti per via del suo design, pesava poco più di una tonnellata, e non è ancora chiaro se eventuali frammenti abbiano raggiunto la superficie terrestre. Quasi sicuramente è stato così per il 25% dell’intera struttura, attraverso decine di frammenti incandescenti caduti su aree disabitate del pianeta. Che il rischio di collisione con zone popolate fosse molto basso era nelle conoscenze di scienziati e degli stessi abitanti del globo, ma in queste situazioni di incertezza un forte impatto su aree densamente popolate non è completamente escluso. Goce ha trasmesso dati quasi sino alla fine, sorprendendo gli scienziati del progetto. GoceLa missione, costata 350 milioni di euro, ha portato grandi progressi nei dati di mappatura globale e della gravitazione terrestre, con dettagli senza precedenti, ma una volta esaurito il combustibile nello scorso mese di Ottobre, è andato incontro ad un destino annunciato. Non è stato certamente un evento senza precedenti quello di Goce. Nel 1979 l’imponente stazione spaziale Skylab della NASA si schiantò sulla superficie terrestre sopra l’Australia, anche se non vennero segnalati feriti. Lo scorso Settembre 2011 il satellite UARS (Upper Atmosphere Research Satellite), un vecchio velivolo da 7 tonnellate lanciato in orbita nel 1991 e inattivo dal 2005, precipitò nella nostra atmosfera, probabilmente diretto verso l’Oceano Pacifico. L’evento, nonostante una fortissima eco mediatica, terminò senza particolari danni, nè video, a tal punto che qualcuno credette che il satellite cambiò traiettoria. In realtà, la caduta dei frammenti avvenne in pieno oceano, lontano da aree abitate, dove fu impossibile riprenderla. A poco più di una settimana dalla caduta di UARS, il pensiero venne rivolto a ROSAT, un satellite tedesco in orbita dal 1° Giugno del 1990 su un’orbita circolare a 575 km di altezza, dal peso complessivo di 2,4 tonnellate. Rivestito di materiale refrattario, principalmente di vetro e ceramica, il satellite produsse circa 30 frammenti sino al suolo, probabilmente nelle acque dell’Oceano Indiano. Anche in questo caso, fortunatamente, la caduta dei vari frammenti in Oceano tranciò di netto l’eco mediatica e le allerte prodotte precedentemente alla caduta. Anche questo evento si spense, e con esso tutte le paure di un probabile impatto sulle nostre città. Risale invece allo scorso Gennaio 2012 il rientro della sonda russa Phobos-Grunt, lanciata nello spazio il 9 Novembre 2011 e precipitata probabilmente nell’Oceano Pacifico, a 1.250 km ad ovest della costa dell’Isola cilena di Wellington. Circa venti o trenta frammenti raggiunsero la “superficie” terrestre, ma anche in quel caso la fortuna e la bassa probabilità, volle che non colpì alcuna area abitata. Ogni anno cadono sino a 150 tonnellate di detriti spaziali sulla superficie terrestre, per un totale di 15.000 tonnellate di detriti caduti nei 56 anni di volo spaziale. Nessuno di essi ha mai causato danni a persone, a conferma della probabilità molto bassa in relazione alla vastità del pianeta.
Meteoweb