Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 12 Agosto 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41982
Le due invasioni mongole ordinate da Kublai Khan nel XIII secolo fallirono entrambe perché le flotte degli invasori furono distrutte da due tifoni, la versione asiatica del ciclone tropicale. Da allora, quel vento ha preso il nome di Kamikaze “vento divino”, sulla cui interpretazione attuale è meglio soprassedere.
Il trattato di pace dell’Aia del 1795, quando la Piccola Età Glaciale volgeva al termine ma doveva ancora raggiungere il suo apice con l’anno senza estate del 1815, fu firmato alla definitiva capitolazione dei ribelli olandesi, quando il Generale dell’Armata Nord francese Pichegru catturò la flotta olandese bloccata dal ghiaccio sullo Helder. L’unica battaglia navale di cui si abbia notizia vinta con la cavalleria.
La nemesi dell’Imperatore Napoleone Bonaparte, iniziò con la disfatta nella Campagna di Russia del 1812, con le truppe d’oltralpe decimate dal gelo dell’inverno russo, e si concluse con la sconfitta di Waterloo, maturata anche per le difficoltà incontrate dalla cavalleria e dall’artiglieria francesi su di un campo di battaglia reso impraticabile dalla pioggia e dal fango.
L’Operazione Barbarossa, il nome in codice con cui è passata alla storia l’invasione della Russia da parte dell’esercito nazista, fallì anch’essa tra gli alti e bassi della terribile stagione invernale della Russia europea, con il gelo a fiaccare le truppe pur consentendo i movimenti delle unità corazzate e il disgelo a bloccarle favorendo la resistenza dei difensori.
E, nel frattempo, all’alba del 6 giugno del 1944, lo sbarco in Normandia permise alle truppe alleate di iniziare la riconquista dell’Europa occidentale segnando la svolta della seconda guerra mondiale, ma fu possibile grazie ad una breve finestra di bel tempo correttamente prevista dai meteorologi alleati e sfuggita invece ai loro colleghi nazisti.
Quante volte nella storia il tempo ha cambiato il tempo, verrebbe da dire. Quante volte il mondo per come lo conosciamo avrebbe potuto prendere una direzione completamente diversa, nel bene o nel male, sempre a causa del sole, della pioggia, del gelo o di chissà quale altro agente atmosferico.
Fin qui la storia conosciuta ai più, sulla quale potrebbero essere fatti chissà quanti altri esempi. Ma c’è un evento molto meno noto il cui svolgimento più che cambiarlo il mondo avrebbe potuto cancellarlo. Si parla sempre di meteorologia, ma non quella classica, quanto piuttosto quella che sta assumendo sempre più importanza, la meteorologia spaziale, che si prefigge di studiare, analizzare, monitorizzare e prevedere l’attività solare nel brevissimo periodo. Dinamiche la cui improvvisa intensificazione con emissione di intensi flussi di particelle cariche proiettati verso la Terra è potenzialmente distruttiva per il mondo moderno, per la sua dipendenza dalle telecomunicazioni e dai segnali radio, dall’energia elettrica e dagli apparati elettronici.
Su questo argomento, è stata recentemente pubblicata una ricerca sulla rivista Space Weather dell’AGU:
Attenzione, non è del genere di distruzione di cui sopra che si parla nel paper pubblicato da un ‘testimone oculare dell’epoca e che commentiamo oggi, almeno non direttamente. L’argomento è piuttosto sempre bellico. Nel maggio del 1967, ci fu una tempesta solare molto intensa, forse la più intensa da quando, seppur con strumenti via via più sofisticati, si può oggettivamente parlare di space weather. Furono giorni molto difficili per le telecomunicazioni, ma erano anche gli anni della guerra fredda, probabilmente anche i più tesi. Fu così quindi che l’interruzione della funzionalità degli apparati difensivi delle forze armate americane in area polare fu inizialmente interpretata – pur in presenza di un sistema di monitoraggio dell’attività solare messo in piedi da pochi anni – come un’operazione di sabotaggio da parte dell’Unione Sovietica. Si trattava delle piattaforme di lancio dei missili balistici, ogni tentativo di sabotaggio era considerato un atto di guerra. Il livello difensivo fu subito portato al massimo, ad un passo dalla fase più critica, quella dell’attacco tramite il lancio dei bombardieri con testate nucleari. Fu soltanto quando gli alti comandi americani si presero la briga di verificare se ci fosse una tempesta solare in corso, ottenendo una risposta positiva dal nostro testimone e autore di questa ricerca, che si realizzò che il sabotatore era il Sole e lanciarvi contro i bombardieri non avrebbe sortito gli effetti desiderati.
Il tempo, sempre il tempo, anche se quella volta visto guardando un po’ più in su del solito. Non un tempo a favorire o impedire azioni di guerra, quanto piuttosto a fare se stesso, prendendosi gioco di noi piccoli grandi potenziali distruttori.
Nota: L’immagine in testa al post è del 23 maggio 1967 e viene dall’archivio storico del National Solar Observatory. E’ un’immagine nella banda prossima a quella visibile chiamata Hydrogen-alpha. La macchia luminosa al centro in alto mostra l’area dove avvenne l’intenso flare.