Editoriali — 10 Gennaio 2014

prob_3dI periodi anticiclonici, che siano essi relativamente lunghi o di breve durata come quello vissuto in questa settimana, nella stagione invernale dovrebbero rappresentare una fase di stallo della dinamica atmosferica, tra un periodo perturbato che si allontana ed uno in arrivo, innescato da un nuovo cambiamento del pattern sinottico. Arrivati ora alla seconda decade di gennaio, che racchiude proprio i dieci giorni centrali della stagione fredda, l’evoluzione del tempo è nuovamente orientata ad un cambiamento della situazione che avrà il merito di portarci, per la prima volta dall’inizio dell’inverno, le prime condizioni meteorologiche che abbiano come caratteristica rilevante le temperature più consone a questo periodo e le precipitazioni. Si tratta sicuramente di un passo avanti rispetto alle fasi perturbate precedenti che si sono susseguite da metà dicembre all’inizio di gennaio, quando le piogge che ci hanno interessato sono state accompagnate da temperature molto più vicine a quelle autunnali. Si tratterà di un primo cambiamento che porterà l’inverno, finora assente, a presentarsi anche alle nostre latitudini? Lo vediamo analizzando, a grandi linee, la tendenza per le prossime due settimane, in cui possiamo distinguere tre distinte fasi atmosferiche.

Prima fase, centrata attorno al 14-16 gennaio. A cavallo della metà del mese il Mediterraneo occidentale sarà molto probabilmente raggiunto da una nuova saccatura legata ad un’ondulazione della corrente a getto che, come al solito, esce dal continente americano per poi decidere le sorti del tempo dall’altra parte dell’Oceano. Questa volta, però, si tratterà di un’ondulazione avente un’ampiezza piuttosto ridotta e quindi impossibilitata a muovere masse d’aria dalle caratteristiche termodinamiche molto differenti tra di loro: ragion per cui, da questo nuovo peggioramento in arrivo non dovremmo attenderci situazioni di maltempo così marcato, non essendoci quell’elevato gradiente termico che, come è noto, rappresenta il carburante necessario per innescare condizioni atmosferiche anche molto perturbate. Con buona probabilità, assisteremo quindi al passaggio di una perturbazione atlantica… “democratica”, capace cioè di portare precipitazioni su tutta l’Italia, ma allo stesso tempo senza generare situazioni critiche anche perché l’ondulazione che la accompagna non troverà alcun ostacolo di natura anticiclonica ad est, ovvero lungo la sua direzione di propagazione. Con l’ingresso dell’aria polare marittima sul Mediterraneo, avremo anche una diminuzione delle temperature di circa 5-7 °C rispetto ai valori attuali che, essendo ben al di sopra delle medie stagionali, caleranno fino a riportarsi vicino alle medie tipiche per metà gennaio. Insomma… un po’ di normalità stagionale: niente di più, niente di meno.

Seconda fase, centrata attorno al 18-19 gennaio
Dall’analisi della configurazione media di ensemble sembrerebbe che per questo periodo si vada incontro ad un nuovo cambiamento, ma dai contorni ancora un po’ sfumati per quanto riguarda la sua intensità. Il segnale che filtra dalla media di ensemble del modello del centro europeo lascia intuire l’ingresso di una nuova ondulazione del flusso atlantico sul bacino occidentale del Mediterraneo, ma questa volta caratterizzata da una maggiore ampiezza, come si può notare dall’estensione dell’asse della possibile saccatura (linea nera tratteggiata). Questa dinamica si discosterebbe dalla precedente per due motivi: innanzitutto perché il maggiore affondo verso le basse latitudini dell’aria polare marittima invoglierebbe un più massiccio richiamo mite subtropicale dall’entroterra africano verso l’Italia (per cui si dedurrebbe il ritorno del campo di temperatura a valori più autunnali che invernali); in secondo luogo perché la maggiore ampiezza del cavo d’onda in transito significherebbe un’evoluzione più lenta del sistema verso levante e quindi una maggiore persistenza delle stesse condizioni atmosferiche sulla nostra penisola.

Terza fase, centrata attorno al 22-23 gennaio. In realtà, gli effetti di questo peggioramento potrebbero accompagnarci anche all’inizio della terza decade di gennaio, dal momento che il pattern sinottico più probabile (probabilità pari al 50%), inquadrerebbe ancora una circolazione ciclonica in area mediterranea, con perno tra Italia e Balcani. Ad ovest, invece, si presenterebbe un Anticiclone delle Azzorre un po’ troppo elevato di latitudine. Campanello d’allarme? Possibile…

Questa situazione darebbe infatti poco credito, almeno fino alla fine del mese, ad eventuali incursioni di aria fredda verso le basse latitudini: a nostro avviso, non sarebbe tanto da trascurare l’ipotesi che gli ultimi giorni di gennaio vedano la presenza di questa figura barica un po’ più spostata verso l’Europa occidentale. Possiamo infatti notare come, sempre intorno allo stesso periodo, il Vortice Polare tenti di ricompattarsi in prossimità del Polo, disponendosi all’interno di un ellissoide con asse ovest-est (figura 4). A quest’area, caratterizzata da un elevato valore di vorticità potenziale, si contrappone proprio alle medie latitudini atlantiche un’area in cui i valori di tale parametro diminuirebbero sensibilmente, ad evidenziare un campo barico opposto. Si può quindi dedurre che questa situazione inneschi un nuovo rinvigorimento del flusso zonale che spinga l’area anticiclonica atlantica ulteriormente verso levante.

Per avere una nuova deformazione del Vortice Polare ed una sua nuova uscita dalla sua sede naturale bisognerà quindi aspettare febbraio, avvero quando la corrente a getto rallenterà di nuovo (fenomeno fisiologico dopo un periodo caratterizzato da correnti molto tese) in modo tale che, dando origine a nuove oscillazioni meridiane, costringa l’aria fredda a scendere verso le basse latitudini.

Articolo a cura di:
Andrea Corigliano
Meteogiuliacci.it

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